E' morto oggi Gore Vidal. Una delle intelligenze più lucide della sinistra statunitense. Saggista, autore di romanzi , polemista colto e acuto. Ha saputo raccontare come pochi vita e cultura degli Stati Uniti "dalla parte del torto".
Ci ha lasciato sceneggiature di grandi film come Improvvisamente l'estate scorsa di Joseph L. Mankiewicz e Ben-Hur di William Wyler , e libri come La statua di sale e L'invenzione degli Stati Uniti. Lo ricordo ripubblicando una mia recensione alla raccolta di saggi : La fine della Libertà. Uscita in Italia all'indomani dell'11 settembre.
Il terzo anniversario dell'undici
settembre è passato da due settimane e tutte le previsioni più
pessimiste sulle conseguenze della "guerra infinita" al
terrorismo, scatenata dall'attuale amministrazione
statunitense,sembrano essersi avverate. L'Iraq continua ad essere
devastato da un'occupazione militare sempre più in difficoltà ma
non per questo meno feroce con la popolazione civile. Intanto i
governi che sulla guerra hanno puntato tutto tentano di tirarsi fuori
dal vicolo cieco in cui si sono cacciati e provano a recuperare il
consenso perduto lungo la strada di un conflitto senza vie d'uscita
motivandolo come "Scontro di civiltà" col mondo islamico
ed approfittando del clima di paura generalizzato per giustificare
una politica fondata su razzismo, smantellamento dei diritti civili
e sociali, militarismo, censura e manipolazione dei media.
E'indispensabile, in questo scenario,
non dimenticare le vere ragioni della guerra al terrorismo ed i
passaggi cruciali, spesso ignoti a quanti si fermano ai titoli dei
TG, che hanno condotto il mondo a vivere i drammi di questi giorni.
Bene ha fatto perciò la Fazi editore a rimandare nelle librerie "La
fine della libertà" di quel Gore Vidal, che interpreta, ormai
da mezzo secolo, la coscienza inquieta della borghesia liberal della
repubblica a stelle e strisce.
Qual'è la tesi di fondo di questo
saggio? che, in ultima analisi, la cosiddetta “guerra infinita”
al terrorismo, scatenata da Bush jr. in seguito agli attentati
dell’11 settembre,altro non è che la tappa più recente di un
percorso di restringimento delle libertà civili in atto negli Stati
Uniti almeno da un ventennio.
Una tesi dimostrata con argomentazioni
lucide e serrate, che illumina di una luce inquietante le tante
domande rimbalzate su stampa e televisioni all’indomani della
tragedia delle Twin Towers: Cosa è stato davvero l’undici
settembre? Bin Laden è realmente una minaccia per la”civiltà”?
Vidal non è disposto a dare credito ai
paragoni ricorrenti fra i fatti di New York e l’attacco giapponese
a Pearl Harbor, che diede inizio per gli USA alla seconda guerra
mondiale. Troppo poche e superficiali le analogie. Osama, in fondo,
non è altro che un principe saudita, neanche fra i più ricchi, che
accarezza il sogno di unificare tutti i fondamentalisti islamici per
cacciare gli infedeli, e i governi arabi corrotti che li sostengono,
dalla terra dei veri credenti. Come e dove lo sceicco abbia imparato
a servirsi del terrorismo per realizzare i propri obiettivi è
facilmente verificabile: organizzando i combattenti Mujahiddin in
Afghanistan, con l’esplicito appoggio degli USA. A questo punto
poco importa sapere se il suo gruppo Al Quaeda abbia o no ricevuto
finanziamenti diretti dalla Cia; quello che conta è che Osama, prima
di assurgere al ruolo di ultima incarnazione del Male, non è stato
altro che una delle innumerevoli pedine del Grande Gioco americano
per mantenere e rafforzare la propria egemonia globale. Una guerra
continua, che, dalla guerra fredda in avanti, ha avuto sempre
bisogno di un Nemico, anche al fine di compattare il paese attorno
alla propria leadership e isolare e reprimere il dissenso.
Dalla fine degli anni settanta in poi,
tutto ciò ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio
mutamento strisciante delle istituzioni e della cultura politica
americane in senso marcatamente reazionario. Per Vidal le prime
avvisaglie si hanno quando l’FBI venne militarizzato con la
creazione delle SWAT, squadre speciali antisommossa addestrate coi
metodi dei “Berretti Verdi”, che verranno utilizzate sempre più
spesso per risolvere conflitti di natura politica e sociale. Ma gli
episodi cruciali, quelli che segnano il punto di non ritorno rispetto
al massacro dei diritti civili, avvengono durante l’amministrazione
Clinton: i fatti di Waco e l’attentato al palazzo governativo di
Oklahoma City. A Waco, Texas, nell’aprile del 1993, la SWAT e la
guardia nazionale assaltarono, su ordine del ministro della giustizia
Janet Reno, il ranch della setta fondamentalista dei “Branch
Davidians” uccidendone 80 membri, fra cui 27 bambini. La loro unica
colpa consisteva nel voler vivere secondo i propri principi, isolati
dal resto del mondo. Due anni dopo un attentato distruggeva il Murrah
Federal Building di Oklahoma City. Per questo delitto venne
condannato a morte senza prove e giustiziato l’ex marine Timothy Mc
Veigh, una figura controversa, a cui i media attribuirono ogni
possibile perversione ma che, a una conoscenza più approfondita,
risulta non troppo diverso dal ritratto del giovane americano medio
tutto “Dio, Patria e Famiglia”.
Evidentemente qualcosa non torna. Per
quale motivo un giovane normale, reduce dal Golfo, avrebbe dovuto
macchiarsi di un delitto simile ?
È stato lo stesso Mc Veigh, reo
confesso, a giustificare il proprio gesto come un atto di guerra
contro un governo responsabile dell’omicidio di decine di civili.
Sono affermazioni meno deliranti di quello che sembra, perché nella
cultura dell’America profonda è ben radicato il convincimento che
sia giusto ribellarsi ad un governo che opprime i propri cittadini.
La torsione perversa di questo principio sacrosanto ha le proprie
radici nella retorica paranoica dell’establishment che, in nome
della lotta per il trionfo del Bene sul Male, è disposto a passare
sopra qualunque cosa. “Quest’amministrazione non parlerà dei
piani che ha o non ha”, ha dichiarato il Presidente al Congresso
inaugurando l’operazione Libertà Infinita; “Troveremo i
criminali e gli faremo scontare le loro colpe”, dando inizio così
ai bombardamenti sull’Afghanistan e ad una guerra che non sappiamo
quanto durerà e quanti paesi coinvolgerà. Cos’è questo se non
l’applicazione di un metodo che, quando lo utilizzano gli altri,
viene definito terrorismo?
Le conclusioni che La fine della
libertà trae non sono affatto consolatorie: il principio di
azione–reazione in base al quale ogni restrizione delle libertà
civili fa aumentare la distanza fra governo e cittadini creando
nuovi, pericolosi nemici, per battere i quali si prendono
provvedimenti ancora più autoritari, ha già avviato una spirale in
fondo alla quale c’è la fine delle democrazie liberali come le
abbiamo fin qui conosciute e la loro trasformazione in regimi non
troppo diversi da quello immaginato da Orwell in 1984. Tutto questo a
vantaggio esclusivo dell’oligarchia del denaro, già non da oggi
padrona assoluta dei media e in grado di determinare le scelte dei
governi, sempre più esenti dall’obbligo di rendere conto alle
istituzioni rappresentative.
È questo il ritratto del nostro
futuro? Gore Vidal, intellettuale di marcata impronta europea,
citando Vico sostiene che gli Stati Uniti sono ormai “una
repubblica imperiale moderatamente caotica che sta per uscire di
scena”. Speriamo, quando ciò dovesse accadere, di non farci troppo
male.
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