mercoledì 1 agosto 2012

Gore Vidal - La fine della libertà: Verso un nuovo totalitarismo?



E' morto oggi Gore Vidal. Una delle intelligenze più lucide della sinistra statunitense. Saggista, autore di romanzi , polemista colto e acuto. Ha saputo raccontare come pochi vita e cultura degli Stati Uniti "dalla parte del torto". 
Ci ha lasciato sceneggiature di grandi film come  Improvvisamente l'estate scorsa di Joseph L. Mankiewicz e Ben-Hur di William Wyler , e libri come La statua di sale  e L'invenzione degli Stati Uniti. Lo ricordo ripubblicando una mia recensione alla raccolta di saggi : La fine della Libertà. Uscita in Italia all'indomani dell'11 settembre.


Il terzo anniversario dell'undici settembre è passato da due settimane e tutte le previsioni più pessimiste sulle conseguenze della "guerra infinita" al terrorismo, scatenata dall'attuale amministrazione statunitense,sembrano essersi avverate. L'Iraq continua ad essere devastato da un'occupazione militare sempre più in difficoltà ma non per questo meno feroce con la popolazione civile. Intanto i governi che sulla guerra hanno puntato tutto tentano di tirarsi fuori dal vicolo cieco in cui si sono cacciati e provano a recuperare il consenso perduto lungo la strada di un conflitto senza vie d'uscita motivandolo come "Scontro di civiltà" col mondo islamico ed approfittando del clima di paura generalizzato per giustificare una politica fondata su razzismo, smantellamento dei diritti civili e sociali, militarismo, censura e manipolazione dei media.
E'indispensabile, in questo scenario, non dimenticare le vere ragioni della guerra al terrorismo ed i passaggi cruciali, spesso ignoti a quanti si fermano ai titoli dei TG, che hanno condotto il mondo a vivere i drammi di questi giorni. Bene ha fatto perciò la Fazi editore a rimandare nelle librerie "La fine della libertà" di quel Gore Vidal, che interpreta, ormai da mezzo secolo, la coscienza inquieta della borghesia liberal della repubblica a stelle e strisce.

Qual'è la tesi di fondo di questo saggio? che, in ultima analisi, la cosiddetta “guerra infinita” al terrorismo, scatenata da Bush jr. in seguito agli attentati dell’11 settembre,altro non è che la tappa più recente di un percorso di restringimento delle libertà civili in atto negli Stati Uniti almeno da un ventennio.
Una tesi dimostrata con argomentazioni lucide e serrate, che illumina di una luce inquietante le tante domande rimbalzate su stampa e televisioni all’indomani della tragedia delle Twin Towers: Cosa è stato davvero l’undici settembre? Bin Laden è realmente una minaccia per la”civiltà”?

Vidal non è disposto a dare credito ai paragoni ricorrenti fra i fatti di New York e l’attacco giapponese a Pearl Harbor, che diede inizio per gli USA alla seconda guerra mondiale. Troppo poche e superficiali le analogie. Osama, in fondo, non è altro che un principe saudita, neanche fra i più ricchi, che accarezza il sogno di unificare tutti i fondamentalisti islamici per cacciare gli infedeli, e i governi arabi corrotti che li sostengono, dalla terra dei veri credenti. Come e dove lo sceicco abbia imparato a servirsi del terrorismo per realizzare i propri obiettivi è facilmente verificabile: organizzando i combattenti Mujahiddin in Afghanistan, con l’esplicito appoggio degli USA. A questo punto poco importa sapere se il suo gruppo Al Quaeda abbia o no ricevuto finanziamenti diretti dalla Cia; quello che conta è che Osama, prima di assurgere al ruolo di ultima incarnazione del Male, non è stato altro che una delle innumerevoli pedine del Grande Gioco americano per mantenere e rafforzare la propria egemonia globale. Una guerra continua, che, dalla guerra fredda in avanti, ha avuto sempre bisogno di un Nemico, anche al fine di compattare il paese attorno alla propria leadership e isolare e reprimere il dissenso.


Dalla fine degli anni settanta in poi, tutto ciò ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio mutamento strisciante delle istituzioni e della cultura politica americane in senso marcatamente reazionario. Per Vidal le prime avvisaglie si hanno quando l’FBI venne militarizzato con la creazione delle SWAT, squadre speciali antisommossa addestrate coi metodi dei “Berretti Verdi”, che verranno utilizzate sempre più spesso per risolvere conflitti di natura politica e sociale. Ma gli episodi cruciali, quelli che segnano il punto di non ritorno rispetto al massacro dei diritti civili, avvengono durante l’amministrazione Clinton: i fatti di Waco e l’attentato al palazzo governativo di Oklahoma City. A Waco, Texas, nell’aprile del 1993, la SWAT e la guardia nazionale assaltarono, su ordine del ministro della giustizia Janet Reno, il ranch della setta fondamentalista dei “Branch Davidians” uccidendone 80 membri, fra cui 27 bambini. La loro unica colpa consisteva nel voler vivere secondo i propri principi, isolati dal resto del mondo. Due anni dopo un attentato distruggeva il Murrah Federal Building di Oklahoma City. Per questo delitto venne condannato a morte senza prove e giustiziato l’ex marine Timothy Mc Veigh, una figura controversa, a cui i media attribuirono ogni possibile perversione ma che, a una conoscenza più approfondita, risulta non troppo diverso dal ritratto del giovane americano medio tutto “Dio, Patria e Famiglia”.

Evidentemente qualcosa non torna. Per quale motivo un giovane normale, reduce dal Golfo, avrebbe dovuto macchiarsi di un delitto simile ?

È stato lo stesso Mc Veigh, reo confesso, a giustificare il proprio gesto come un atto di guerra contro un governo responsabile dell’omicidio di decine di civili. Sono affermazioni meno deliranti di quello che sembra, perché nella cultura dell’America profonda è ben radicato il convincimento che sia giusto ribellarsi ad un governo che opprime i propri cittadini. La torsione perversa di questo principio sacrosanto ha le proprie radici nella retorica paranoica dell’establishment che, in nome della lotta per il trionfo del Bene sul Male, è disposto a passare sopra qualunque cosa. “Quest’amministrazione non parlerà dei piani che ha o non ha”, ha dichiarato il Presidente al Congresso inaugurando l’operazione Libertà Infinita; “Troveremo i criminali e gli faremo scontare le loro colpe”, dando inizio così ai bombardamenti sull’Afghanistan e ad una guerra che non sappiamo quanto durerà e quanti paesi coinvolgerà. Cos’è questo se non l’applicazione di un metodo che, quando lo utilizzano gli altri, viene definito terrorismo?

Le conclusioni che La fine della libertà trae non sono affatto consolatorie: il principio di azione–reazione in base al quale ogni restrizione delle libertà civili fa aumentare la distanza fra governo e cittadini creando nuovi, pericolosi nemici, per battere i quali si prendono provvedimenti ancora più autoritari, ha già avviato una spirale in fondo alla quale c’è la fine delle democrazie liberali come le abbiamo fin qui conosciute e la loro trasformazione in regimi non troppo diversi da quello immaginato da Orwell in 1984. Tutto questo a vantaggio esclusivo dell’oligarchia del denaro, già non da oggi padrona assoluta dei media e in grado di determinare le scelte dei governi, sempre più esenti dall’obbligo di rendere conto alle istituzioni rappresentative.

È questo il ritratto del nostro futuro? Gore Vidal, intellettuale di marcata impronta europea, citando Vico sostiene che gli Stati Uniti sono ormai “una repubblica imperiale moderatamente caotica che sta per uscire di scena”. Speriamo, quando ciò dovesse accadere, di non farci troppo male.



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