di Tonino Cafeo
Canta "Lily Kangì" ( la vecchia canzone napoletana che fa "Chi me piglia pe' francesa, chi me piglia pe' spagnuola...") in ebraico e napoletano insieme e le sue movenze, per l'occcasione, sono quelle sfrontate di un'autentica sciantosa fin de siècle. E' evidente che Noa sente molto affine a se questo brano e si identifica in un personaggio dall'identità multipla ma ben radicata nel calore del mondo mediterraneo.
Come potrebbe essere diversamente per un'artista figlia di un professore dello Yemen , cresciuta a New York ed emigrata poi in Israele a riappropriarsi delle proprie radici ebraiche?
Al di là degli antichi stereotipi sull'ebreo errante, la biografia di Noa sembra davvero incarnare la costante ricerca del dialogo, dell'ibridazione fra culture diverse, il sentirsi a casa ovunque, pur non cessando di ricercare oltre ogni barriera la propria terra-madre.
Il concerto che Noa ha tenuto a Taormina qualche sera fa, a conclusione dell'ulitma edizione dell'Horcynus Fest, è stato l'occasione per materializzare davanti agli occhi di un pubblico non numerosissimo ma appassionato un viaggio fatto di antichi canti yemeniti, sonorità dal sapore fortemente americano che accompagnano testi in ebraico, canzoni e arie della più nobile tradisione napoletana riproposte con amore ma senza complessi di inferiorità. Un dono che nasce dall'idea che la musica sia un mezzo privilegiato per costruire la pace e la convivenza fra culture, nel segno comune dell'universalismo.