martedì 7 agosto 2012

Boicottare Noa?


 di Tonino Cafeo

Canta "Lily Kangì" ( la vecchia canzone napoletana che fa "Chi me piglia pe' francesa, chi me piglia pe' spagnuola...") in ebraico e napoletano insieme e le sue movenze, per l'occcasione, sono quelle sfrontate di un'autentica sciantosa fin de siècle. E' evidente che Noa sente molto affine a se questo brano e si identifica in un personaggio dall'identità multipla ma ben radicata nel calore del mondo mediterraneo.

Come potrebbe essere diversamente per un'artista figlia di un professore dello Yemen , cresciuta a New York ed emigrata poi in Israele a riappropriarsi delle proprie radici ebraiche? 
Al di là degli antichi stereotipi sull'ebreo errante,  la biografia di Noa  sembra davvero incarnare la costante ricerca del dialogo, dell'ibridazione fra culture diverse, il sentirsi a casa ovunque, pur non cessando di ricercare oltre ogni barriera la propria terra-madre.

Il concerto che Noa ha tenuto a Taormina qualche sera fa, a conclusione dell'ulitma edizione dell'Horcynus Fest, è stato l'occasione per materializzare davanti agli occhi  di un pubblico non numerosissimo ma appassionato un viaggio fatto di antichi canti yemeniti, sonorità dal sapore fortemente americano che accompagnano testi in ebraico, canzoni  e arie della più nobile tradisione napoletana riproposte con amore ma senza complessi di inferiorità.  Un dono che nasce dall'idea che la musica sia un mezzo  privilegiato per costruire la pace e la convivenza fra culture, nel segno comune dell'universalismo.


C'è però chi rifiuta quest'offerta, ritenendola  "falsata" da alcune dichiarazioni rilascate dall'artista nelle settimane terribili dell'inverno del 2008-2009, quando Tsahal, l'esercito di Israele, scatenò una spaventosa offensiva, passata alla storia col macabro nome di  "piombo fuso", che fu  rivolta contro  gli uomini di Hamas nella striscia di Gaza, senza farsi scrupolo di fare innumerevoli vittime civili, compresi i piccoli allievi di una scuola primaria. In quell'occasione Noa si rivolse al popolo palestinese augurandogli una rapida "liberazione" dal "cancro" del terrorismo  e del fondamentalismo islamista  da ottenersi attraverso la vittoria delle armi israeliane.
 Parole pesanti , che suonarono come una tragica beffa davanti alle lacrime dei superstiti  e alle devastazioni dei cacciabombardieri. Che, soprattutto, stridono con un percorso umano e culturale fino ad allora limpidamente dalla parte della pace.

Noa , purtroppo, non è stata sola in quella circostanza. Altri esponenti del mondo progressista e della cultura israeliana , a partire da Abraham Yehoshua e Amos Oz giustificarono in nome della "lotta al terrorismo" quegli atti di guerra. Le stesse persone che si erano opposte risolutamente ai massacri nei campi palestinesi in Libano, alla repressione dell'Intifada non hanno avuto le stesse parole di sdegno nei riguardi di Piombo Fuso.
Non è facile trovare una ragione plausibile a questo radicale mutamento. Chi la conosce da vicino potrà spiegarci meglio come e quanto la società israeliana , e con essa, una parte significativa dell'ebraismo della diaspora, abbia subito -ne più e ne meno di tutte le società occidentali- le conseguenze della "guerra globale permanente" che si è aperta dopo l'undici settembre del 2001. Dalla sconfitta del movimento pacifista mondiale, alla  crescita esponenziale di politiche securitarie che si alimentano di paura e da essa sono alimentate, e  il discorso sulla paura delle persecuzioni  e dell'annientamento come costante dell'identità ebraica da tempo immemorabile,   sarebbe il naturale corollario di questa riflessione ma è meglio lasciarlo chiuso perché porterebbe troppo lontano.
Resta lo scacco per questa resa alla logica della guerra e del nemico da abbattere che accomuna lo smarrimento di parte della comunità intellettuale israeliana e , paradossalmente, anche molti amici del popolo palestinese, come quelli che chiedono a gran voce il boicottaggio dei concerti di Noa come dei festival dedicati agli scrittori ed ai registi israeliani.

Non credo che il boicottaggio degli artisti sia uno strumento efficace di  lotta contro la politica dei governi di destra dello stato di Israele. Il boicottaggio è una forma di lotta nonviolenta rivolta soprattutto a colpire gli interessi economici di chi opprime un popolo o una classe sociale. Questa sua natura lo rende un metodo certamente preferibile alla guerra, tuttavia le attività culturali, pur comportando vendite di libri o di biglietti di mostre e concerti,  non sono semplicemente un ramo del'import-export di un paese. Sono lo strumento primario della conoscenza reciproca, dell'abbattimento di ogni frontiera, materiale  e immateriale.Basterebbe questo a suggerire di scegliere altri terreni per contrastare la deriva militarista e paranoica della classe dirigente d'Israele. Ma non è solo questo.

Cosa si pensa di fare in favore di una pace vera in Medio Oriente se si confondono governi e società civile, piloti di caccia  e musicisti, abitanti delle città  e coloni? La società della sponda sud del Mediterraneo sono state attraversate da una salutare scossa democratica di cui sono stati protagonisti soprattutto i giovani che hanno rivendicato insieme diritti e libertà, bisogni materiali e immateriali, senza riproporre assurde gerarchie di priorità fra gli uni e gli altri. Israele, benchè poco se ne dica dalle nostre parti, non è su un altro pianeta rispetto a tutto ciò e i cambiamenti che si stanno producendo prima o poi porteranno anche a una visione nuova della questione palestinese  e della convivenza fra diversi popoli in Palestina.

Vedere questa realtà in evoluzione come un blocco monolitico dove le liste contrapposte dei buoni e dei cattivi sono ancora quelle di trent'anni fa, anche se si sta dalla parte "giusta", non aiuta a spostare la situazione di un millimetro.  Forse serve a rafforzare le nostre certezze vacillanti. Non credo che aiuti i ragazzi  e le ragazze  a costruirsi un futuro diverso e più umano, siano essi di Gaza o Tel Aviv.





1 commento:

  1. caro Tonino ti ringrazio per le tue "approfondite e meditate" osservazioni e colgo l'occasione per scusarmi per non averti potuto rispondere prima. Ho letto e riletto quanto hai scritto e non posso che farti i miei più sinceri complimenti per l'abilità con la quale hai di fatto aggirato gli aspetti cruciali della questione.
    1) Ribadisco che il riconoscimento alla sig.ra Noa del premio horcynus orca "Per il suo impegno nella promozione del dialogo fra israele e paesi arabi" suona ai più come discutibile e di dubbio gusto, alla luce delle imbarazzanti dichiarazioni rese dalla stessa a sostegno della carneficina condotta da israele e denominata "Piombo fuso". Sull’opportunità o meno di tale riconoscimento non si trova traccia nel tuo intervento.
    2) Apprezzo il tuo laborioso tentativo di inquadrare le dichiarazioni della sig.ra Noa nell'ambito dei miti della "sicurezza nazionale" e della "guerra giusta" che hanno sedotto parte del movimento pacifista internazionale e con esso buona parte della società civile israeliana; tuttavia "contestualizzare" certe dichiarazioni non ne attenua di certo la portata offensiva e, consentimi, folle. Tra l'altro, tali affermazioni sono state più volte ribadite dalla sig.ra Noa, anche a posteriori, e pur alla luce dei drammatici effetti della guerra sulla popolazione palestinese.
    3) In questa circostanza il boicottaggio di certo non mira, come scrivi tu, a danneggiare la politica dei governi di destra dello stato di Israele od a colpirne gli interessi economici. Sarebbe un’ambizione utopistica e presuntuosa. L’invito a non prendere parte ad un concerto non nasce dal proposito banale di far diminuire gli incassi al botteghino, ma, al contrario, trova origine in una più profonda indignazione di coscienza e nella necessità di prendere, in maniera chiara ed inequivocabile, le distanze da chi caldeggia la necessità del ricorso allo strumento della guerra.
    4) In quest’ottica accomunare, come scrivi tu, chi chiede il boicottaggio del concerto a chi sostiene la logica della guerra, oltre ad essere puramente fantasioso ed illogico è anche decisamente offensivo.
    Mi conforta invece sapere che negli ultimi anni i concerti della cantante in questione registrino una costante diminuzione di partecipazione di pubblico (ed il concerto di Taormina conferma il trend), così come che le sue apparizioni pubbliche siano sempre più spesso contestate.
    D’altra parte, a dispetto della passione della sig.ra Noa per la canzone napoletana, l’ipotesi di un riconoscimento alla stessa della cittadinanza onoraria è stata ufficialmente smentita dal sindaco di Napoli De Magistris.
    Se poi la suggestione delle movenze e delle canzonette della sig.ra Noa susciti in te un fascino irresistibile è un altro discorso e sono, in tal caso, affari tuoi. Basta semplicemente riconoscerlo. Ma per favore non facciamo confusioni e non mischiamo ciò che è serio a ciò che è solo piacevole.

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