venerdì 20 luglio 2012

Oro grigio, la sentenza. A cinque anni dalle indagini, il tribunale di Messina condanna i principali imputati. Un'inchiesta di Liberazione del 2007 raccontava il consumo criminoso del nostro territorio.


Salomonica sentenza del presidente della I sezione del Tribunale Attilio Faranda, che dopo una camera di consiglio di oltre sei ore ha emesso la sentenza alla fine del processo Oro Grigio, l’inchiesta sul complesso edilizio Green Park di Torrente Trapani.
Quattro anni e mezzo la condanna decisa per l’avvocato Giuseppe “Pucci” Fortino, Umberto Bonanno, medico del lavoro, esponente di destra, all’epoca dei fatti presidente del consiglio comunale di Messina e per il funzionario comunale Antonino Ponzio. Prescrizione dalle accuse per i funzionari regionali Rosa Anna Liggio, Giuseppe Giacalone e Cesare Antonino Capitti. Due anni e 6 mesi la condanna per il costruttore barcellonese Giovanni Arlotta, i soci Giovanni e Santi Magazzù e Antonino Smedile della immobiliare Samm. Assolto, invece, Salvatore Arlotta, figlio del costruttore.
I giudici hanno infine disposto il risarcimento al WWF, stabilendo una provvisionale di 40 mila euro, e ha liquidato i danni ai promissari acquirenti degli appartamenti del complesso, di cui hanno disposto la confisca.
Nel dettaglio la Corte ha condannato gli imputati per corruzione, assolto tutti dall’accusa di associazione a delinquere, applicato la prescrizione per i reati di abuso. Infine la Corte ha condannato al risarcimento, in solido, il Comune di Messina.
Nutrito il collegio difensivo, composto dagli avvocati Tommaso e Laura Autru, Enrico Ricevuto, Tommaso Calderone, Giovanbattista Freni. Il WWF è assistito dall’avvocato Aurora Notarianni, i promissari acquirenti dagli avvocati Carmelo Picciotto e Marco Di Mauro. 
da normanno.com

* La Sentenza del processo Oro grigio mi da l'occasione di ripubblicare il reportage che all'epoca dei fatti scrissi per Liberazione.
Stavolta non ci sono cadaveri eccellenti ma ugualmente Messina è costretta a fare i conti con il proprio cuore oscuro. L’inchiesta “Oro grigio” , che ha portato alla luce l’attività di un potente comitato d’affari in grado di garantire per anni a costruttori e politici piena libertà d’azione nel condurre l’ennesimo saccheggio del territorio, richiama alla memoria il periodo in cui la città dello stretto si scoprì soffocata da un “verminaio” fatto di affaristi, mafiosi e politici arroganti e corrotti uniti dalla volontà di arricchirsi alle spalle di una città ridotta allo stremo e protetti da una cappa di conformismo cinico e omertoso.
Allora la Commissione antimafia indicò come terreno delle spartizioni e ricco bottino dell’alleanza politico-criminale l’Università e i suoi appalti, oggi le indagini della Procura di Messina chiariscono il meccanismo attraverso cui un analogo sistema di potere si appropria del territorio piegando ai propri fini il lavoro degli uffici comunali preposti alle politiche urbanistiche e sfruttando l’assenza di strategia e l’infimo livello culturale delle classi dirigenti locali.

Lo scenario che rende possibile quest’operazione è quello di un Piano Regolatore Generale dalla storia tormentata e ambigua.
Pensato per una città con un numero di abitanti più che doppio rispetto al reale, il PRG di Messina fu respinto dalla Regione, aprendo la strada- nel ’98- all’adozione di una nuova variante, che si è prestata- nel corso della sua discussione- alla legittimazione di ogni sorta di operazioni speculative attraverso centinaia di ricorsi, opposizioni, osservazioni ed emendamenti votati dal consiglio comunale. E’a questo punto della vicenda che si consolida l’attività del gruppo politico- affaristico scoperta grazie all’inchiesta sul complesso residenziale del torrente Trapani. Il funzionario dell’ufficio politiche del territorio del comune Nino Ponzio si adoperava per l’ottenimento delle concessioni; il consigliere comunale di Forza Italia Umberto Bonanno sosteneva in consiglio o presso gli uffici della regione le opportune modifiche al piano, a partire dagli indici di edificabilità dei lotti ( nel caso del Green Park da 1,5 a 5 metri cubi per metro quadrato); l’avvocato Pucci Fortino faceva da mediatore e collettore dei flussi di danaro mentre gli imprenditori interessati foraggiavano il sistema.

Il lavoro degli inquirenti che ha consentito queste scoperte prende le mosse dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Antonino Giuliano, un costruttore che ha operato a Messina a partire dalla seconda metà degli anni ’80. La sua impresa ha aperto numerosi cantieri in proprio o in subappalto nelle diverse zone della città interessate all’espansione edilizia, pagando per ognuno ingenti somme- tanto ai clan mafiosi che in quel periodo gestivano il racket, quanto ad alcuni “colletti bianchi” al fine di “ottenere provvedimenti amministrativi favorevoli” alla rimozione di ogni ostacolo alla propria attività. E’in queste circostanze che Giuliano entra in rapporti con Pucci Fortino e Nino Ponzio. I due gli procurano diversi lavori per conto di cooperative edilizie e imprese pretendendo in cambio dei favori ricche tangenti in denaro contante e appartamenti. Solo per costruire il complesso “Rosa Lavinia”, nel villaggio di Zafferia, l’imprenditore avrebbe versato un miliardo di vecchie lire, recuperate facendo lievitare il costo dei lavori. Per i propri interventi Bonanno- oltre che denaro e immobili pretende dall’imprenditore anche sostegno alla propria parte politica in occasione delle elezioni amministrative del 2003, quelle che segnarono la vittoria della Casa delle Libertà di Peppino Buzzanca nonché l’apice della carriera politica dell’esponente forzista, divenuto in quell’occasione presidente del consiglio comunale .
Il gruppo politico-affaristico è stato talmente ben rodato che- come risulta dagli atti-non solo ha avuto voce in capitolo in innumerevoli operazioni ma è anche riuscito a esercitare un controllo sull’azione amministrativa che “trascende i singoli episodi criminosi” e si configura come un “costante condizionamento della cosa pubblica” capace di interferire nell’elaborazione e nell’attuazione dei piani di zona, come quello che riguarda il territorio di Mili, a sud del centro urbano, dove le indagini hanno fatto emergere l’interesse del sodalizio per il progetto di un megacomplesso residenziale nella località Galati marina , sottoposta a severi vincoli per tutelarne il valore turistico e paesaggistico.
Dall’inchiesta “Oro grigio” emerge con chiarezza un quadro per cui l’infinita vicenda del PRG messinese con i suoi frutti che si chiamano disordine edilizio, quartieri-ghetto, dissesto del territorio deve essere letta non tanto come conseguenza dell’incultura urbanistica delle classi dirigenti quanto come frutto di una volontà di indebita appropriazione dei beni comuni da parte di un gruppo di potere ben individuabile che pratica l’illegalità come stile di vita. Per questo inquieta il mutismo di gran parte della politica messinese che , a parte le solite eccezioni, non ha avuto finora molto da dire su questa storia. Rifondazione, dal canto suo, chiede al centrosinistra che da un anno e mezzo governa la città, non solo una severa riflessione sulle questioni che l’inchiesta mette in luce ma innanzitutto atti concreti di discontinuità politica e amministrativa come la rotazione dei ruoli dirigenziali e l’avvio di un’inchiesta amministrativa che passi al setaccio le decisioni assunte nell’ultimo decennio consentendo una ridiscussione delle parti più controverse del piano regolatore.


L’operazione “Oro grigio” scattò la mattina dell' 8 maggio 2007 con l’esecuzione di 9 provvedimenti di custodia cautelare emessi dal gip Maria Angela Nastasi, su richiesta dei sostituti procuratori Giuseppe Farinella e Angelo Cavallo, a carico di funzionari del comune di Messina , imprenditori, avvocati e politici a vario titolo facenti parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla speculazione edilizia.
Un vero e proprio “comitato d'affari che agiva con un meccanismo mai collaudato prima, - questa la definizione del Procuratore capo di Messina Croce- con una precisa divisione delle competenze per risolvere le varie difficoltà”, in grado di condizionare pesantemente le decisioni dell’ufficio urbanistica con l’obiettivo di realizzare sulle colline del torrente Trapani –nella zona nord della città - un grande complesso residenziale denominato “Green Park”. Per ottenere tutte le autorizzazioni a costruire calpestando norme e regolamenti il gruppo avrebbe distribuito tangenti per l’ammontare complessivo di un milione e 550.000 euro.
Fra gli arrestati nomi conosciuti della politica messinese come Umberto Bonanno, ex presidente del consiglio comunale di Messina, da sempre vicino al deputato Nanni Ricevuto, forzitaliota con un passato nel PSI; il noto avvocato d’affari Giuseppe “Pucci” Fortino; gli imprenditori barcellonesi Giovanni e Salvatore Arlotta; Antonino Ponzio, funzionario dell'ufficio Coordinamento politiche del territorio ed il faccendiere Antonio Gierotto. A tutti viene contestato il reato di falso e corruzione. Agli arresti domiciliari altri tre imprenditori, Giovanni Magazzù, Santi Magazzù e Antonino Smidile. Sono invece indagati per falso tre funzionari dell'Assessorato regionale al Territorio:Cesare Capitti, Giuseppe Giacalone e Rosa Anna Liggio; nonché il dirigente coordinatore delle "Politiche del Territorio" del Comune di Messina Manlio Minutoli, e il direttore della sezione Prg, Raffaele Cucinotta, che avrebbero reso dichiarazioni risultate preziose per la ricostruzione dei fatti.
                                                                                                                       TONINO CAFEO

Inchiesta pubblicata da Liberazione il  23 Maggio 2007


 

1 commento:

  1. Nel frattempo ci sono state due alluvioni, di cui una assassina. A parte l'attivismo del Genio Civile di Sciacca , non è cambiato granché da qual duemilasette...

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