Salomonica sentenza del presidente della I sezione del Tribunale Attilio Faranda, che dopo una camera di consiglio di oltre sei ore ha emesso la sentenza alla fine del processo Oro Grigio, l’inchiesta sul complesso edilizio Green Park di Torrente Trapani.
Quattro anni e mezzo la condanna decisa per l’avvocato Giuseppe “Pucci” Fortino, Umberto Bonanno, medico del lavoro, esponente di destra, all’epoca dei fatti presidente del consiglio comunale di Messina e per il funzionario comunale Antonino Ponzio. Prescrizione dalle accuse per i funzionari regionali Rosa Anna Liggio, Giuseppe Giacalone e Cesare Antonino Capitti. Due anni e 6 mesi la condanna per il costruttore barcellonese Giovanni Arlotta, i soci Giovanni e Santi Magazzù e Antonino Smedile della immobiliare Samm. Assolto, invece, Salvatore Arlotta, figlio del costruttore.
I giudici hanno infine disposto il risarcimento al WWF, stabilendo una provvisionale di 40 mila euro, e ha liquidato i danni ai promissari acquirenti degli appartamenti del complesso, di cui hanno disposto la confisca.
Nel dettaglio la Corte ha condannato gli imputati per corruzione, assolto tutti dall’accusa di associazione a delinquere, applicato la prescrizione per i reati di abuso. Infine la Corte ha condannato al risarcimento, in solido, il Comune di Messina.
Nutrito il collegio difensivo, composto dagli avvocati Tommaso e Laura Autru, Enrico Ricevuto, Tommaso Calderone, Giovanbattista Freni. Il WWF è assistito dall’avvocato Aurora Notarianni, i promissari acquirenti dagli avvocati Carmelo Picciotto e Marco Di Mauro.
da normanno.com
* La Sentenza del processo Oro grigio mi da l'occasione di ripubblicare il reportage che all'epoca dei fatti scrissi per Liberazione.
Stavolta non ci sono
cadaveri eccellenti ma ugualmente Messina è costretta a fare i conti
con il proprio cuore oscuro. L’inchiesta “Oro grigio” , che ha
portato alla luce l’attività di un potente comitato d’affari in
grado di garantire per anni a costruttori e politici piena libertà
d’azione nel condurre l’ennesimo saccheggio del territorio,
richiama alla memoria il periodo in cui la città dello stretto si
scoprì soffocata da un “verminaio” fatto di affaristi, mafiosi e
politici arroganti e corrotti uniti dalla volontà di arricchirsi
alle spalle di una città ridotta allo stremo e protetti da una cappa
di conformismo cinico e omertoso.
Allora la Commissione
antimafia indicò come terreno delle spartizioni e ricco bottino
dell’alleanza politico-criminale l’Università e i suoi appalti,
oggi le indagini della Procura di Messina chiariscono il meccanismo
attraverso cui un analogo sistema di potere si appropria del
territorio piegando ai propri fini il lavoro degli uffici comunali
preposti alle politiche urbanistiche e sfruttando l’assenza di
strategia e l’infimo livello culturale delle classi dirigenti
locali.
Lo scenario che rende
possibile quest’operazione è quello di un Piano Regolatore
Generale dalla storia tormentata e ambigua.
Pensato per una città
con un numero di abitanti più che doppio rispetto al reale, il PRG
di Messina fu respinto dalla Regione, aprendo la strada- nel ’98-
all’adozione di una nuova variante, che si è prestata- nel corso
della sua discussione- alla legittimazione di ogni sorta di
operazioni speculative attraverso centinaia di ricorsi, opposizioni,
osservazioni ed emendamenti votati dal consiglio comunale. E’a
questo punto della vicenda che si consolida l’attività del gruppo
politico- affaristico scoperta grazie all’inchiesta sul complesso
residenziale del torrente Trapani. Il funzionario dell’ufficio
politiche del territorio del comune Nino Ponzio si adoperava per
l’ottenimento delle concessioni; il consigliere comunale di Forza
Italia Umberto Bonanno sosteneva in consiglio o presso gli uffici
della regione le opportune modifiche al piano, a partire dagli
indici di edificabilità dei lotti ( nel caso del Green Park da 1,5 a
5 metri cubi per metro quadrato); l’avvocato Pucci Fortino faceva
da mediatore e collettore dei flussi di danaro mentre gli
imprenditori interessati foraggiavano il sistema.
Il lavoro degli
inquirenti che ha consentito queste scoperte prende le mosse dalle
dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Antonino Giuliano,
un costruttore che ha operato a Messina a partire dalla seconda metà
degli anni ’80. La sua impresa ha aperto numerosi cantieri in
proprio o in subappalto nelle diverse zone della città interessate
all’espansione edilizia, pagando per ognuno ingenti somme- tanto
ai clan mafiosi che in quel periodo gestivano il racket, quanto ad
alcuni “colletti bianchi” al fine di “ottenere provvedimenti
amministrativi favorevoli” alla rimozione di ogni ostacolo alla
propria attività. E’in queste circostanze che Giuliano entra in
rapporti con Pucci Fortino e Nino Ponzio. I due gli procurano
diversi lavori per conto di cooperative edilizie e imprese
pretendendo in cambio dei favori ricche tangenti in denaro contante e
appartamenti. Solo per costruire il complesso “Rosa Lavinia”,
nel villaggio di Zafferia, l’imprenditore avrebbe versato un
miliardo di vecchie lire, recuperate facendo lievitare il costo dei
lavori. Per i propri interventi Bonanno- oltre che denaro e immobili
pretende dall’imprenditore anche sostegno alla propria parte
politica in occasione delle elezioni amministrative del 2003, quelle
che segnarono la vittoria della Casa delle Libertà di Peppino
Buzzanca nonché l’apice della carriera politica dell’esponente
forzista, divenuto in quell’occasione presidente del consiglio
comunale .
Il gruppo
politico-affaristico è stato talmente ben rodato che- come risulta
dagli atti-non solo ha avuto voce in capitolo in innumerevoli
operazioni ma è anche riuscito a esercitare un controllo sull’azione
amministrativa che “trascende i singoli episodi criminosi” e si
configura come un “costante condizionamento della cosa pubblica”
capace di interferire nell’elaborazione e nell’attuazione dei
piani di zona, come quello che riguarda il territorio di Mili, a sud
del centro urbano, dove le indagini hanno fatto emergere l’interesse
del sodalizio per il progetto di un megacomplesso residenziale nella
località Galati marina , sottoposta a severi vincoli per tutelarne
il valore turistico e paesaggistico.
Dall’inchiesta “Oro
grigio” emerge con chiarezza un quadro per cui l’infinita vicenda
del PRG messinese con i suoi frutti che si chiamano disordine
edilizio, quartieri-ghetto, dissesto del territorio deve essere letta
non tanto come conseguenza dell’incultura urbanistica delle classi
dirigenti quanto come frutto di una volontà di indebita
appropriazione dei beni comuni da parte di un gruppo di potere ben
individuabile che pratica l’illegalità come stile di vita. Per
questo inquieta il mutismo di gran parte della politica messinese
che , a parte le solite eccezioni, non ha avuto finora molto da dire
su questa storia. Rifondazione, dal canto suo, chiede al
centrosinistra che da un anno e mezzo governa la città, non solo una
severa riflessione sulle questioni che l’inchiesta mette in luce ma
innanzitutto atti concreti di discontinuità politica e
amministrativa come la rotazione dei ruoli dirigenziali e l’avvio
di un’inchiesta amministrativa che passi al setaccio le decisioni
assunte nell’ultimo decennio consentendo una ridiscussione delle
parti più controverse del piano regolatore.
L’operazione “Oro
grigio” scattò la mattina dell' 8 maggio 2007 con
l’esecuzione di 9 provvedimenti di custodia cautelare emessi dal
gip Maria Angela Nastasi, su richiesta dei sostituti procuratori
Giuseppe Farinella e Angelo Cavallo, a carico di funzionari del
comune di Messina , imprenditori, avvocati e politici a vario titolo
facenti parte di un’associazione a delinquere finalizzata alla
speculazione edilizia.
Un vero e proprio
“comitato d'affari che agiva con un meccanismo mai collaudato
prima, - questa la definizione del Procuratore capo di Messina
Croce- con una precisa divisione delle competenze per risolvere le
varie difficoltà”, in grado di condizionare pesantemente le
decisioni dell’ufficio urbanistica con l’obiettivo di
realizzare sulle colline del torrente Trapani –nella zona nord
della città - un grande complesso residenziale denominato “Green
Park”. Per ottenere tutte le autorizzazioni a costruire calpestando
norme e regolamenti il gruppo avrebbe distribuito tangenti per
l’ammontare complessivo di un milione e 550.000 euro.
Fra gli arrestati nomi
conosciuti della politica messinese come Umberto Bonanno, ex
presidente del consiglio comunale di Messina, da sempre vicino al
deputato Nanni Ricevuto, forzitaliota con un passato nel PSI; il noto
avvocato d’affari Giuseppe “Pucci” Fortino; gli imprenditori
barcellonesi Giovanni e Salvatore Arlotta; Antonino Ponzio,
funzionario dell'ufficio Coordinamento politiche del territorio ed il
faccendiere Antonio Gierotto. A tutti viene contestato il reato di
falso e corruzione. Agli arresti domiciliari altri tre
imprenditori, Giovanni Magazzù, Santi Magazzù e Antonino Smidile.
Sono invece indagati per falso tre funzionari dell'Assessorato
regionale al Territorio:Cesare Capitti, Giuseppe Giacalone e Rosa
Anna Liggio; nonché il dirigente coordinatore delle "Politiche
del Territorio" del Comune di Messina Manlio Minutoli, e il
direttore della sezione Prg, Raffaele Cucinotta, che avrebbero reso
dichiarazioni risultate preziose per la ricostruzione dei fatti.
TONINO CAFEO
Inchiesta pubblicata da Liberazione il 23 Maggio 2007
Nel frattempo ci sono state due alluvioni, di cui una assassina. A parte l'attivismo del Genio Civile di Sciacca , non è cambiato granché da qual duemilasette...
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