lunedì 22 ottobre 2012

Graziella Campagna. La memoria ritrovata.



L'anniversario è ancora lontano ma quest'intervista -che ho realizzato nel 2009-  all'avvocato Fabio Repici, difensore della famiglia della giovane Graziella Campagna, vittima innocente di Mafia, merita di essere riletta.







Graziella Campagna
“La storia di Graziella è finalmente restituita alla memoria collettiva. “
Parla Fabio Repici, Avvocato della famiglia Campagna. 
( Intervista a cura di Tonino Cafeo)

A pochi giorni dalla messa in onda del film tv “ La vita rubata”, anche il processo d’appello agli assassini di Graziella Campagna giunge alla tanto attesa conclusione. Abbiamo incontrato l’avvocato della famiglia della giovane, Fabio Repici, e ricostruito insieme a lui le tappe fondamentali di una vicenda umana e giudiziaria che ci tocca da vicino e che troppo tardi è stata strappata all’oblio.

Avvocato Repici, il caso di Graziella Campagna sembrava destinato all’oblio. Persino la messa in onda della fiction a lei dedicata è stata più volte ostacolata…
Ho seguito la vicenda del film come un comune cittadino, nonostante sia stato coinvolto nella vicenda, a differenza dell’ ex ministro Mastella o del presidente della corte d’appello di Messina Fazio o anche del procuratore generale di Messina D’Amico- i quali hanno ritenuto che occuparsi dei palinsesti della RAI fosse attinente al loro ruolo istituzionale . Ho riflettuto sulle difficoltà che ha avuto la messa in onda del film ed anche sugli effetti della trasmissione sul pubblico. La Tv di stato, programmando La vita rubata, ha fatto ciò che dovrebbe fare quotidianamente il servizio pubblico.

“Viene così restituita alla storia italiana una vicenda che non poteva essere sepolta dall’abbandono della memoria.”

Ha fatto si che- attraverso un’opera di fiction televisiva - un vasto pubblico abbia potuto conoscere la tragica storia di Graziella e-aggiungo- quella della solitudine di una famiglia nonché quella , ancor più tragica, della giustizia messine. Viene così restituita alla storia italiana una vicenda che non poteva essere sepolta dall’abbandono della memoria. In questo senso ciò che è successo la settimana scorsa rappresenta una pietra miliare, nel senso che i processi sono senz’altro la cosa più importante, ma – se si guarda alla cosa dal punto di vista del livello di civiltà di un paese- aver restituito alla memoria collettiva la vicenda di Graziella è , almeno sul piano politico, persino più importante dello stesso processo.

Che impressione ha tratto dalla visione del film?

Ho visto il film in un salone parrocchiale, nell’ambito di un’iniziativa curata da un gruppo di ragazzi di varie associazioni ed ho potuto costatare de visu la reazione che ha indotto su quella porzione di collettività. Mi ha fatto molto piacere vedere una sincera partecipazione , un trasporto autentico da parte di centinaia di persone che si sono incontrate per l’occasione, chiedendo di avere con sé i fratelli e la madre di Graziella per consegnare loro quel minimo senso di solidarietà umana che per 22 anni avevano avuto raramente. 
In quel momento ho capito che-forse – la consegna dell’oblio sulla vicenda Campagna era fondata su una sola ragione: che chiunque conosca questa storia- alla fine quella dell’omicidio di una bambina innocente- non riesce a sopportarla. Coloro che pensavano ad esagerazioni si sono ricreduti, ma , tante e tanti hanno visto il film con le lacrime a gli occhi perché si rendevano conto che a pochi passi dalle proprie vite era successa una cosa che si riteneva possibile solo in un romanzo nero.

Un noir in piena regola, con depistaggi, omertà e la solitudine di una famiglia . Ricostruiamo le tappe principali della vicenda
Graziella Campagna il giorno della sua scomparsa, da circa cinque mesi era impiegata presso una lavanderia di Villafranca Tirrena, in provincia di Messina, e quotidianamente si recava al lavoro dal suo paese, Saponara. Come ho detto in Tribunale, in fondo la morte della ragazza si può considerare una sorta di “incidente mafioso sul lavoro”. E’ un dato che pochi hanno valutato ma su cui bisognerebbe riflettere: Graziella è morta per ragioni strettamente legate alla propria attività lavorativa. Proveniva da una famiglia umile-otto figli- ed era andata a lavorare esclusivamente per contribuire al bilancio familiare. Era “naturalmente” una lavoratrice in nero, non garantita. Bisognerebbe riflettere su come lo stato penoso di precarietà lavorativa e di povertà contribuisca a determinare le condizioni in cui si compie un delitto di mafia.
Questa stiratrice in nero, scrupolosa, timida, precisa, un maledetto giorno scopre che due persone che frequentavano quotidianamente la lavanderia avevano un’identità diversa da quella ufficiale. Questi due individui- un presunto ingegnere e un presunto geometra- erano in realtà dei pericolosissimi latitanti palermitani. Il falso ingegnere, Gerlando Alberti jr., addirittura nipote di un capo storico di Cosa Nostra. Frequentavano da circa tre anni e mezzo il paese di Villafranca con tutti gli onori della ribalta sociale. Erano considerati veri professionisti, anche se in paese non avevano mai svolto nessuna attività collegabile al loro presunto status, e fatti oggetto della stima e della benevolenza delle principali istituzioni locali. 

“Erano diventati ,in sostanza, punti di riferimento per la borghesia di Villafranca, amici del sindaco e del maresciallo dei Carabinieri.”
Erano diventati ,in sostanza, punti di riferimento per la borghesia di Villafranca, amici del sindaco e del maresciallo dei Carabinieri. Addirittura – come risulta dagli atti processuali- una delle case affittate dai due latitanti fu trovata dall’allora sindaco Vincenzo La Rosa , attuale consigliere provinciale dell UDC, nonostante fosse stato arrestato nel’93 e successivamente condannato per concussione, patteggiando la pena nel ’94.
Alberti jr e Sutera avevano dunque frequentazioni di rango durante la latitanza in provincia di Messina, una latitanza pro forma, dato che facevano entrambi vita pubblica. La scoperta fatta da Graziella- l’unico soggetto estraneo a quella trama di complicità umane, criminali e istituzionali- mise in allarme i due soggetti e il contesto che li accoglieva, provocando la condanna a morte della ragazza.
Graziella venne così sequestrata la sera del 12 dicembre dell’85, portata –, come si addice ad un vero e proprio noir, una notte buia e tempestosa- a Forte Campone –località isolata dei Peloritani- e trucidata con cinque colpi di fucile a distanza ravvicinata.

Un metodo di solito riservato ad autorevoli boss mafiosi.
Già. La prima reazione delle istituzioni preposte, alla notizia della scomparsa della ragazza, fu il classico riflesso pavloviano: come sempre dalle nostre parti di fronte ad un delitto di mafia l’investigatore o il giornalista di turno pensa immediatamente all’omicidio passionale. Come se a queste latitudini si possa necessariamente essere ammazzati solo per questioni di corna o affini. Neanche le ricerche del cadavere furono avviate tempestivamente, dal momento che l’ipotesi formulata dal maresciallo dei Carabinieri di Villafranca fu quella della fuitina con un giovane del posto che effettivamente ne aveva chiesto la mano ai genitori presentandosi in casa nei mesi precedenti la scomparsa della ragazza. In questo scenario depistante della fuitina c’era però un elemento fuori posto: il presunto fidanzato protagonista della fuga all’ora del sequestro era in casa.
Fabio Repici


Toccò allora al fratello di Graziella, Piero, indagare per proprio conto”

Toccò allora al fratello di Graziella, Piero- appuntato dei Carabinieri allora in servizio in Calabria, tornare a casa ed indagare per conto proprio, avendo capito che l’ipotesi di fuga romantica era priva di ogni fondamento. Il corpo della ragazza fu ritrovato nel primo pomeriggio del 14 dicembre da alcuni escursionisti nello spiazzo antistante Forte Campone. Questi, alla ricerca di soccorso ,si imbatterono in una pattuglia di forestali con la quale proprio in quel momento stava parlando Piero Campagna che potette - con lo sgomento che ognuno può immaginare- così riconoscere il corpo straziato della sorella. Trovato il cadavere, il teorema degli inquirenti non cambiò. Trattandosi “necessariamente” di delitto passionale le indagini si concentrarono sul povero ragazzo che fu torturato per una notte intera nella caserma dei Carabinieri di Villafranca, né più e né meno come furono torturati inermi cittadini nelle caserme genovesi nel luglio del 2001. Le indagini furono deviate anche dalle menzogne e dal silenzio complice dei gestori della lavanderia presso cui Graziella lavorava, tutte persone legate a Gerlando Alberti jr. da stretti rapporti personali. Un altra anomalia riguarda la titolarità dell’inchiesta: la prima forza di polizia ad intervenire sul luogo del delitto fu la Squadra Mobile di Messina, tuttavia- per decisione non si sa di chi- ma senz’altro messa in atto con il consenso della magistratura- le indagini furono sottratte alla Polizia ed affidate all’Arma, nella persona del locale maresciallo. Per fortuna la squadra mobile continuò a svolgere sottotraccia il proprio lavoro e, a neanche un mese dall’omicidio, denunciò i due latitanti. I Carabinieri ,tuttavia, non cessarono le loro attività depistanti e depositarono il rapporto giudiziario sulle indagini solo nel settembre dell’86 , esprimendo per giunta forti perplessità sulle reali responsabilità dell’Alberti. Avvenne -fra l’altro- una cosa che ha dell’incredibile: Il comandante del reparto operativo dei Carabinieri, allora maggiore Fortunato, il comandante la compagnia Messina centro- capitano Acampora- e il comandante la stazione di Villafranca –maresciallo Giardina- erano legati da un rapporto fiduciario con uno strano personaggio: tale Giuseppe Donia, nazista per propria definizione. Donia era stato qualificato a Piero Campagna come il “colonnello”incaricato di svolgere la perizia balistica. Questa persona ha dichiarato in seguito all’autorità giudiziaria che effettivamente era stato chiamato dai Carabinieri la notte del rinvenimento del cadavere di Graziella ad esaminare-quale consulente esperto di balistica-le cartucce rinvenute a Forte Campone. Si scoprirà in seguito, con grande fatica che il Donia , non solo non è mai stato ufficiale dell’Arma, ma risulterà “semplicemente” un amico -sui generis- di quei Carabinieri e- soprattutto di Gerlando Alberti jr. Ma non finisce qui. Donia era anche buon amico di alcuni magistrati. Da collezionista di armi- quale era- ne riceveva in regalo , ad esempio dal capitano Acampora, e ne regalava a sua volta al comandante la stazione dei Carabinieri di Fondachello –Valdina o addirittura al dott. Rocco Sisci, all’epoca sostituto procuratore della Repubblica a Messina e oggi procuratore capo a Barcellona. Quest’ultimo giustificò i regali ricevuti dal Donia dichiarando alla stampa di aver ricevuto una pistola Beretta in omaggio per aver acquistato presso il suo autosalone una Panda usata priva dei tappetini. Questo è il quadro ambientale in cui maturò l’omicidio di Graziella Campagna. 

( fine prima puntata) 
( l'intervista-in due puntate- è stata pubblicata  nel 2009 dal quotidiano online "Vivicittà" che oggi-purtroppo non esiste più)

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