martedì 15 maggio 2012

Rom dello Stretto.

Apro questo nuovo blog con un reportage, uscito sul settimanale Centonove venerdì 4 maggio 2012.



Mishko Ferizaj è sui vent’anni , sogna di fare il pizzaiolo e da quando esibisce con orgoglio il passaporto italiano ama farsi chiamare Michele, come a cancellare qualunque barriera fra se e i suoi coetanei “autoctoni”.
Michele appartiene alla piccola comunità Rom messinese ed ha trascorso gran parte della sua vita al “villaggio Fatima”, quel gruppo di baracche raggrumate nella zona falcata - fra il mare e i binari della ferrovia – a pochi passi da piazza Cairoli. Un luogo che la maggior parte dei messinesi associa a degrado e sporcizia, se non ai più diffusi luoghi comuni sull’etnia Rom, ma che per Michele e tanti suoi coetanei ha significato “casa” . Una casa che da un anno ormai non esiste più, sostituita da un tetto meno precario e dalla prospettiva di una sistemazione definitiva.
Villaggio Fatima infatti è stato demolito all’inizio di aprile del 2011 e le settanta persone che vi risiedevano sono state trasferite in alloggi provvisori, nell’ attesa che sia portato a termine il progetto di risistemazione di alcuni immobili comunali da affidare alle stesse famiglie Rom attraverso un percorso che prevede la formazione professionale degli uomini e il loro avviamento all’attività lavorativa.

Dopo uno sgombero troppo frettoloso, a fronte dei tempi molto lunghi di tutta l’operazione, i nuclei familiari sono giunti in diverse zone della città. Otto si trovano attualmente nelle case che il comune ha destinato all’emergenza abitativa nel villaggio Matteotti del rione Annunziata, altre tre sono nell’ex scuola del villaggio Catarratti. Questa parte della comunità è anche quella coinvolta nel progetto di autocostruzione. “ Abbiamo dato priorità” –spiega l’assessore all’integrazione Dario Caroniti – “ ai nuclei con figli minori e che fossero in regola coi permessi di soggiorno” . E gli altri? Le famiglie che – a vario titolo – non sono rientrate nel progetto del Comune di Messina hanno trovato aiuto concreto dalla Caritas diocesana. “ Li abbiamo sistemati in case private”- racconta padre Gaetano Tripodo, direttore dell’organizzazione. “ Ci sono due famiglie in contrada Sperone, due a Camaro e due a San Matteo. Li sosteniamo pagando l’affitto e le utenze” –prosegue padre Tripodo- “ e abbiamo anche comprato elettrodomestici e mobilio” . Una parte dei soldi che occorrono li mette la Caritas Diocesana – circa 80.000 euro- Gli altri vengono da un progetto dell’Assessorato Regionale alla Famiglia, Lavoro e Politiche Sociali, risalente al 2010, che ha affidato alle organizzazioni del terzo settore l’attuazione di “interventi di contrasto delle povertà” . Quest’iniziativa , che ha previsto per la diocesi messinese la somma di ben 400.000 euro , è stata più volte rimodulata e scadrà definitivamente il prossimo mese di maggio. Non è chiaro cosa accadrà dopo, anche se è prevedibile una diminuzione degli interventi di sostegno alle famiglie. Fra le ipotesi più accreditate per scongiurare il peggio, la richiesta di una proroga dei contributi regionali ma anche l’apertura di una trattativa con il comune di Messina per l’allargamento della platea degli aventi diritto a partecipare al progetto di autocostruzione, dal momento che –grazie al lavoro dei legali del circolo Arci Thomas Sankara e dell’ufficio Migrantes- diverse situazioni dubbie al momento dello sgombero sono state regolarizzate. “ Per alcuni casi abbiamo seguito le procedure previste dalla sanatoria del 2009” afferma l’avvocato Carmen Cordaro, del circolo Arci Sankara, “ per altre situazioni si è inoltrata al questore l’istanza di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari o si è fatto ricorso alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione umanitaria. Cinque persone hanno ottenuto così i documenti” .
Intanto la piccola comunità che si è insediata al Matteotti sembra affrontare bene i cambiamenti degli ultimi dodici mesi. Nonostante la precarietà della loro condizione -vivono stipati in quattro appartamenti , due famiglie per alloggio- i Rom hanno stabilito buone relazioni con i vicini che entrano ed escono volentieri dalle loro case. Alla festa che si è svolta il primo aprile scorso, ad un anno esatto dal drammatico trasloco, i volti erano distesi e si faceva davvero fatica a distinguere messinesi di diversa origine. “ Diamo rispetto, abbiamo rispetto” sorride Jusuf Ferizaj, presidente della Baktalo Drom. Aggiunge Caroniti che “ il bilancio dell’anno trascorso non può che essere positivo e che si può parlare dell’inserimento dei Rom nei quartieri come di un fatto compiuto”. Una situazione che sembra contraddire il nervosismo che si respirava nel 2011 ma che non cancella i troppi problemi del presente e le incertezze del domani.
Il progetto di autocostruzione, denominato “Casa è/e lavoro” è finanziato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e citato come “buona prassi” nella Strategia italiana Rom dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni del Governo. Non c’ è però chiarezza sulle cifre impegnate. “Dai 100.000 euro della prima bozza si è scesi a 70.000” Fanno notare dall’Arci. “ Appena sufficienti per le prime necessità. Molte spese per materiali e la progettazione degli impianti sono oggi a carico del volontariato.”
I capifamiglia, nel frattempo, hanno partecipato ad un corso sulla sicurezza sul lavoro, organizzato dalla Scuola Edile, ed entro giugno dovrebbero cominciare a lavorare all’autocostruzione dei nuovi alloggi. La data , però, non è certa perché lo stesso ente si sarebbe offerto di farsi carico di organizzare i lavori in un cantiere scuola i cui tempi di realizzazione sarebbero più lunghi di quelli ipotizzati dal Comune.
(Tonino Cafeo)



IN FUGA DALL'EX JUGOSLAVIA
I Rom messinesi sono frutto dell’esodo massiccio verso occidente che si è verificato a partire dagli anni ’90 in seguito alle guerre che hanno dilaniato l’ex Jugoslavia. Famiglie che hanno vissuto per decenni godendo di rispetto e piena cittadinanza si sono trovate all’improvviso rifiutate da tutti i nazionalismi contrapposti. “Per i Serbi eravamo nemici. Anche per gli Albanesi lo eravamo” ricorda sempre una signora dall’aspetto matronale, pensando al proprio passato. Così, soprattutto nel periodo del conflitto in Kosovo, si sono ritrovati in riva allo stretto in circa quattrocento, provenienti perlopiù dal Montenegro, ma anche dalla Macedonia e da ogni altra tessera del mosaico balcanico. Negli anni questi numeri si sono assottigliati fortemente fino ad arrivare alle attuali settanta persone. La comunità nel frattempo ha messo radici, ha intrecciato rapporti con i messinesi, i suoi ragazzi sono diventati adulti fra di noi e i loro bambini , nati qui, sono siciliani a tutti gli effetti. Il luogo dove hanno vissuto fino all’anno scorso è stato al centro dell’attenzione e dell’impegno delle associazioni di volontariato e antirazziste- a partire da Arci e Caritas- ma anche “pietra dello scandalo” nei discorsi infiniti sul degrado urbano e sul risanamento e soprattutto, buco nero dove spesso si è smarrita nell’indifferenza la non elevata coscienza civile degli abitanti dello stretto.
I diversi interessi gravitanti su una porzione di territorio potenzialmente preziosa come il water front hanno contribuito a dare la scossa decisiva alla vicenda del Villaggio Fatima. Mentre i bulldozer iniziavano a spianare le innumerevoli costruzioni abusive di Maregrosso, l’Autorità Portuale- titolare delle aree su cui sorgevano le baracche - chiedeva al comune di Messina la loro restituzione e lo sfratto delle famiglie occupanti. Avrebbe potuto essere l’inizio di un conflitto rovinoso con la comunità Rom nel certo ruolo di perdente. Invece l’associazione Baktalo Drom, che è la forma organizzata che si è data la comunità, ha colto l’occasione per rivendicare il diritto all’abitare in maniera dignitosa attraverso una trattativa con l’obiettivo di trovare una soluzione concreta, forte del sostegno di una agguerrita rete di associazioni laiche e cattoliche.
t.c.



PICCOLI ROM CRESCONO
Le famiglie Rom che vivono al villaggio Matteotti hanno tutte figli in età scolare. Ai tempi della zona falcata frequentavano la scuola “Cannizzaro” ed il trasferimento improvviso e traumatico ha lasciato non pochi strascichi. L’istituto comprensivo che li accoglie adesso, il “Beata Eustochia” , dell’Annunziata, ha una certa esperienza in fatto di bambini problematici. “ Fra i nostri alunni”- racconta il dirigente scolastico Tindaro Sparacio- “ ci sono gli ospiti della vicina casa-famiglia. Minori che un provvedimento dell’autorità giudiziaria ha per vari motivi allontanato dalle famiglie” . Su seicento allievi di tutto l’istituto solo diciassette sono di origine straniera. Fra questi diversi piccoli Rom che sono stati accolti a braccia aperte . “Noi –prosegue Sparacio- ci sforziamo di attuare tutte le iniziative possibili in direzione della piena integrazione. Abbiamo applicato la circolare ministeriale sull’apertura pomeridiana degli istituti e organizzato diverse attività extrascolastiche , a partire dallo sport, che registrano un’ampia partecipazione.” Il progetto intercultura , rivolto specificamente alla reciproca conoscenza e all’abbattimento delle barriere culturali degli alunni di origine straniera , è interamente finanziato dai Fondi D’Istituto. L’insegnante che lo coordina, Maria Grazia Frisone, vi impegna tutte le proprie energie ma ne vede anche i limiti. “ il piccolo Rom che ho in classe- sottolinea- ha superato quel mutismo selettivo che presentava al suo arrivo e segue con entusiasmo le attività che gli propongo, tuttavia continua ad avere difficoltà nella lettura e nella scrittura” . Problemi di apprendimento vengono segnalati anche dalle altre insegnanti, mentre generalmente buono è il rapporto con le famiglie e ottima è stata l’accoglienza da parte dei bambini “autoctoni”.
Docenti e dirigente della Beata Eustochia concordano comunque nel ritenere insufficiente ciò che è stato fatto finora. “E’ indispensabile-osservano- la collaborazione fra istituzioni diverse che insistono sul territorio, ma spesso queste sono assenti”. Il ritorno del sostegno scolastico garantito fino allo scorso anno dai volontari della Rete Khorakhanè e dell’Arci sarebbe un concreto passo in avanti, ma , malgrado le promesse dell’assessore Caroniti e la rinnovata disponibilità dei volontari, a metà aprile non c’è ancora nulla di definitivo. L’aula dove fare lezione è stata trovata ma non ci sono ancora gli arredi e l’assicurazione obbligatoria per i volontari. Intanto l’anno scolastico volge al termine. “ Bocciare i bambini sarebbe un danno grave al percorso di integrazione” fanno notare dalla scuola. “Speriamo in un aiuto esterno per l’anno prossimo”.
T.C.



IN ATTESA DEL PARCO URBANO
Uno sgombero realizzato in fretta e furia, con i bambini svegliati in piena notte e i mobili delle povere case ammucchiati nel piazzale e caricati in fretta sui pochi camion disponibili alla luce tagliente dei riflettori. Questo è stato il trasferimento della comunità Rom da San Raineri alle attuali destinazioni. Una fretta spiegata allora dalla foga dell’operazione risanamento e recupero del water front che ha riscosso ampi consensi fra i cittadini ma che –vista ad un anno di distanza – non trova giustificazione alcuna nello stato attuale delle cose.
“Nell’area del campo rom realizzeremo un parco urbano attrezzato” aveva promesso la giunta Buzzanca. “ Restituendo così ai cittadini un area preziosa da troppo tempo loro sottratta”.Una promessa impegnativa e allettante che però è ancora sulla carta. L’ex villaggio Fatima è stato debitamente spianato e sigillato, dopodiché più nulla. Da palazzo Zanca fanno sapere di avere inoltrato la richiesta di concessione all’Autorità Portuale, ma le cose sembrano stare in modo diverso. E’una società privata – la Elios petroli del gruppo Franza- ( la stessa che gestisce già il distributore accanto al’ex campo) che realizzerà, non è dato sapere in quali tempi,il progetto del parco attrezzato ricevendo in cambio l’autorizzazione a costruire nel sottosuolo un deposito di GPL.
Nelle aree adiacenti insiste poi il progetto della seconda fase del concorso “Porti e stazioni” che dovrebbe essere esitato probabilmente nei prossimi due mesi. Il tema del concorso era –fra l’altro- "la redazione di un MasterPlan di dettaglio dell’area di intervento e la progettazione preliminare di un centro servizi e parco urbano tra la Real Cittadella ed il Porto Storico " Il Programma Innovativo in ambito urbano e il progetto della Elios ,quindi convivono più o meno nella stessa porzione di territorio e non è dato capire se e come si integreranno fra di loro.
T.C.





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